Desirée, la danza degli avvoltoi

Povera Desirée. La sua morte grida il dissolversi dell’umana pietà.

Intorno al cadavere danza compiaciuto chi ne trae concime per l’odio o chi dell’odio è ormai lo spettro vagante: cade a proposito una sventurata che va a farsi ammazzare da “belve guarda caso straniere”. Non c’è spazio per piangere con semplicità la fine di una sedicenne senza appigli per la vita. E chi prova ripugnanza per il pasto selvaggio è costretto a trascurare la sofferenza per arginare – con cifre, esempi, altre tragedie – la ferocia degli sciacalli seduti intorno al corpo come a una tavola imbandita.

Desirée è stata inghiottita da uno spicchio d’una

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La notte in cui fummo migranti

Accadde una notte, discutendo di migranti e razzismo, diluendo l’amarezza nel gin tonic. Parlavamo e ci sentivamo imprigionati in una realtà disperante: da quante sorgenti sgorga l’ira verso lo straniero, dall’esasperazione per ombre che ciondolano sotto casa, per una disavventura personale, per cronache talora asettiche e spesso gonfiate, per imitazione, per insicurezza interiore. Tutte sorgenti raccolte e poi drogate per offrire a singole ire personali un nemico comune e contro quel nemico costruire un odio collettivo e su di esso un potere: accomunati in un unico odio sarete branco obbediente.

Non era certo di conforto prendere atto che troppi italiani, con la Storia

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