Alain Elkann e il treno sbagliato

Alain Elkann ha raccontato qualche giorno fa su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica, un viaggio in treno fra i “lanzichenecchi” da Roma a Foggia. Tutto quel che è divampato dopo – reazioni indignate, sfottò, polemiche di giornalisti, risposta del quotidiano, presa di distanze della redazione – ha narrato un’altra cosa: l’editoria di oggi corre come un treno senza motrice o così di fretta da saltare alcune stazioni fondamentali.

Che cosa si rimprovera ad Alain Elkann? Di aver dipinto se stesso come un elegante e colto signore isolato tra barbari dediti a musica, telefonini, chiacchiere sul sesso. Il suo giornale l’ha difeso rimproverando

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“Belìn, tutto per me?”. E il sorriso di Fabrizio

Il sorriso di Fabrizio, quando era contento o commosso da qualcosa o qualcuno, era delicato, un po’  labbra e molto occhi, racchiudeva affetto e timidezza, trasmetteva gioia per ciò che era fatto bene e di cuore.  E’ facile anche oggi immaginare quel sorriso che significa: “Belìn, quanta roba! Tutta per me?” mentre guarda i primi due volumi di una serie che si chiama I libri di Fabrizio De André, curati dalla Fondazione e da Dori Ghezzi per La Nave di Teseo.

I due titoli iniziali sono Accordi eretici (prima edizione 1997) a cura di Bruno Bigoni e Romano Giuffrida, e Volammo davvero (prima edizione 2007) con introduzione di Sandro Veronesi

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