Willy, l’umiltà del piccolo coyote

Willy non era un coyote e neanche somigliava allo sciamannato personaggio dei cartoni . Ma sedici anni fa mia figlia lo portò a casa piccolino e lo chiamò così.

Di tutti i nostri familiari a quattro zampe tendiamo a ricordare qualcosa di speciale: un gesto d’eroismo vero o presunto, un’intuizione, una sintonia, un episodio da gran protagonista. Di speciale Willy aveva gli aspetti più rari: una pacata normalità, una serafica umiltà, un’accettazione che non perdeva mai la dignità. Piove? Ci bagneremo un po’. Un caldo torrido? Andrà bene una mattonella in cotto del pavimento.

Willy – un incrocio tra un bassotto e qualcuno più corpulento – liquidava

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Venezia, troppo bella per vivere

Venezia come Atlantide, ma non sommersa da un dio come Poseidone, bensì da omuncoli perduti tra ignavia, inettitudine e mazzette di denaro.

Incuria, incompetenza, disinteresse e interessi minavano Venezia già prima che si discutesse del Mose. Li mostrava  la più inascoltata delle voci, quella della Cultura. E oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, è un’emozione malinconica prender fra le dita, con rispetto e timidezza, un raffinato libretto: Alcune proposte per distruggere Venezia (Ruggero Aprile editore), scritto nel 1972 da Stefano Reggiani (Verona 1937, Roma 1989), autore di saggi (Sorelle d’Italia, Dizionario del postdivismo, Nel

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