Rigopiano, angeli della nostra mediocrità

La sciagura dell’albergo di Rigopiano ci fa confrontare  ora per ora con la dedizione e la tenacia dei soccorritori, già battezzati dalle cronache “angeli del ghiaccio”. I primi furono gli “angeli del fango”, giovani accorsi a Firenze dopo l’alluvione del 1966. Wikipedia attribuisce la paternità della bella sintesi, entrata come luce nei racconti di melma e devastazione, a Giovanni Grazzini, che sul Corriere della Sera ammoniva a non far più sarcasmi sulla generazione beat, della quale si scopriva una identità straordinaria.

Gli angeli si sono moltiplicati: del soccorso, del volontariato, fino al ghiaccio. Al continuo adattare un lampo di espressione, parola, poesia siamo abituati, basti pensare ai titoli di giornale che rivestivano il verso di Salvatore Quasimodo “ed è subito sera”: “ed è subito scandalo”, “ed è subito crisi”, “ed è subito paura”.

Non c’è del male nel riproporre una potenza evocativa, ma nel caso degli angeli fa capolino, insieme con ammirazione e gratitudine, la sensazione di qualcosa “altro da noi”. La nostra quotidianità è popolata da mezzucci, fughe da responsabilità, piccoli interessi, superficialità per cui ti taglio la gamba sana anziché quella malata, egoismo per cui anche l’urgenza di salute ha un prezzo, ladrocinio come bollare l’ingresso e andare al mare, pigrizia per cui annego nella burocrazia l’invalido vero e accontento quello finto, non bado alle norme di sicurezza, posteggio nelle strisce gialle riservate ai portatori di handicap e avanti per pagine e pagine.

L’operato di persone che hanno scelto per mestiere il soccorso e di quelle che al soccorso s’aggiungono come volontari è limpidezza, coraggio e umiltà, altruismo. E serietà. Chiamarli angeli ne esprime bene le caratteristiche, però insieme conferisce al loro essere uomini e donne autentici qualcosa di soprannaturale, inimitabile, rassicurante per la nostra assuefazione alla mediocrità.