Perché Avetrana ci appassiona e fa paura

Con il potere evocativo della cronaca, Avetrana riassume le nostre paure: dell’Ignoto e della Giustizia, come quest’opera di Giancarlo Giordano. In un’Italia che a bocca spalancata si spacca in due quando avviene il fatto, durante le indagini, durante i processi, la sentenza ultima sulla vicenda di Sarah Scazzi ci lascia sperduti in quella frattura, esaspera fino alla lite le certezze degli ospiti nei programmi televisivi d’intrattenimento neanche fossero coinvolti.

La fine dell’iter processuale lascia orfani non di una verità ma delle proprie convinzioni. Lascia orfani perché c’è un reo confesso e non creduto, Michele Misseri, e ci sono due condannate definitive che si proclamano innocenti. Al di là della curiosità morbosa, della passione per il crimine “lontano da noi”, del gioco di società di chi indovina il finale, sguscia da sotto i commenti e le reazioni la grande paura della Giustizia.

Senza entrare nel merito di una sentenza, fatto è che non ci piace la condanna di chi si proclama innocente di fronte a un reo confesso non creduto. Però non ci sarebbe piaciuto se i pm avessero preso subito per buono il racconto di Misseri (vedi? a loro basta avere un colpevole, non approfondiscono). Non ci garba che una nostra convinzione non sia suffragata. Vorremmo che indagassero di più, ma c’è la prescrizione, che detestiamo quando salva chi non ci aggrada, troviamo giusta quando sulla graticola c’è quello cui crediamo.

Dopo millenni di Storia del Diritto continuiamo a concepirne l’anima secondo la nostra inclinazione, la nostra emotività, la nostra paura di capitarci in mezzo. Perché non ammettiamo ma sentiamo che ciascuno di noi può incontrare Giustizia, Follia, Miseria, Sventura, Solitudine. E non saremo noi a deciderne il cammino.