Portavoce? meglio quello di Totò

“Ma noi parliam dal portavoce / dal momento che ci cuoce”, cantava Totò all’amico Eduardo De Filippo malato. Cantava una macchietta della cultura napoletana, alle prese con un amore contrastato dai genitori di lei. Oggi invece il “portavoce” parre una macchietta della Presidenza del Consiglio.

Rocco Casalino, ben retribuito dagli italiani a Palazzo Chigi, sosteneva all’epoca del Grande Fratello che “i poveri puzzano”. Nessuno, nel corso della sua brillante carriera, l’ha avvertito che le parole senza pensiero mandano davvero cattivi odori e che Whatsapp, a differenza del “confessionale” del sempre più malandato reality, non ha registi, soltanto le dita più che la testa di chi se ne serve.

Difficile dire se Casalino abbia mai guardato in Internet il significato di portavoce. Per la Treccani può essere a scelta sinonimo di megafono, tubo metallico per trasmettere da un ambiente all’altro, pezzo di strumenti a fiato, oppure “chi parla in vece o per conto di un’altra persona, di un gruppo e sim. e anche chi sostiene e diffonde le idee di movimenti di opinione, culturali, sociali, ecc. o anche quelle di partiti”.

Il suo caso dovrebbe corrispondere al virgolettato, cioè lui dovrebbe trasmettere il pensiero di Giuseppe Conte. Invece, con la “sindrome del confessionale”, sfoga senza remore il proprio. Per questo (salvo dire: attribuiscilo ad altri) ha spiegato ai giornalisti a proposito del Ministero dell’Economia: “Tutto il 2019 sarà dedicato a far fuori una marea di gente. Sarà una cosa ai coltelli”. Stressato poi dalle domande sul crollo del ponte di Genova e sulle decisioni da prendere in fretta: “Non mi chiamate cento volte. Io pure ho diritto a farmi magari un paio di giorni, che già mi è saltato Ferragosto, santo Stefano, san Rocco, santo Cristo. Non mi stressate la vita”. Dopodiché chiede scusa ai genovesi e se la prende con i cronisti che strumentalizzano. Ma i giornalisti non hanno carpito un’intercettazione legale o illegale: è lui che ha mandato a loro il messaggio, fiero di aver più dimestichezza con il cellulare che con la prudenza.

Modello per i rapporti con i media è stato sempre l’Ufficio Stampa Fiat, creato da una figura straordinaria come tota (signorina in piemontese) Maria Rubiolo e mantenuto esemplare da fior di professionisti come, per citarne al volo alcuni, Sandro Doglio, Simone Migliarino, Franco Sodano, Tilli Romero, Sandro Casazza. Il loro impegno era diffondere le notizie care all’azienda, abbigliare elegantemente quelle sgradite o delicate, comunque rispondere ai colleghi con garbo, metterli in grado di lavorare seppur sempre con occhio attento all’immagine della Casa. Dunque disponibili, rapidi eppure riflessivi, dalla cortesia ineccepibile. Neanche la notte di Natale avrebbero risposto: “Non mi stressate la vita”.

Casalino invece più che portavoce – e quindi tramite e immagine del capo – si sente protagonista in proprio, ignaro di una verità scritta da Philip Roth in L’animale morente: “Ogni vanità, portata alle estreme conseguenze, finisce sempre per burlarsi di te”.