Dedicata ai cuori sereni e ai razzisti

Questa tristezza è dedicata a chi in questi tempi d’ira continua a esser persona e, insieme, alla cecità fangosa e delirante dei razzisti.

Arrivano da luoghi lontani. Qualcuno diventa spacciatore, qualcuno assassino. Molti imparano l’italiano, le regole, le leggi, un lavoro, come il giovane venuto dalla Guinea e oggi impegnato a salvare le nostre vite sulle ambulanza della Croce Rossa (La Stampa-Asti).

Ma anche lui rischia, con il Decreto Sicurezza, di essere cacciato via perché ha un permesso di soggiorno “per motivi umanitari”. Mai espressione fu così calzante e bifronte: umanitari verso di lui e umanitari verso di noi da parte sua.

Colpire l’integrazione è più facile che colpire il crimine: si sa dove trovarli, sono più umili, più remissivi. E’ più facile e soprattutto più redditizio in termini di voti: se si integrano, se addirittura salvano la vita a nostro padre o a nostro figlio, forse si affievolirà l’odio monomaniacale e generalizzato. E, senza odio per un nemico vero o falso, certi partiti diventano inutili, si svuotano, si sgonfiano.

Sventurati senza fortuna, uomini senza spondei che afferrano l’appiglio sbagliato, donne sfruttate, delinquenti nell’intimo e anime dolci che per noi nutrono rispetto e riconoscenza vengono tutti da buchi oscuri del mondo, da un lungo e disperato cammino, mentre altri il viaggio ha dissolto nella morte. A loro e a noi – ostinatamente umani oppure razzisti, o curiosi, o indifferenti – è dedicata questa canzone.

Il volo dell’onda
(Alladio – Neirotti)

Vagando in deserti sbandando nei mari
lasciando fantasmi in relitti e fondali
ora siamo soltanto lamenti e rimpianti
tra coltri di nebbie e pietre dei ponti.
Alziamo alle stelle una lenta preghiera:
un dio raccolga la nostra paura.

Sfidiamo la notte in fila tremando
ricurvi sui moli rigonfi di fango
una mano coi guanti ci lava dal viso
il velo di melma sopra il sorriso
come una nenia una voce ci conta
ma quanti ha rapito il volo dell’onda?

Veniamo vivendo dei nostri peccati
bruciando ricordi e sogni sbagliati
veniamo invocando una vita qualunque
il vento ci porta tempeste di sangue.
Noi siamo il branco dei nuovi animali
ma quanti da qui fuggiron nei mari.

La polvere bianca pagate implorando
una bocca di nera frugate ansimando
scegliete ridendo gli schiavi dei campi
offrendoci un pane di lacrime e lampi.
Da queste baracche il lancio di un sasso
trasforma gli schiavi in tordi di passo.

Scrivete cronisti scrivete la morte
venite curiosi gridate più forte
“fu un cuore bastardo è finito carogna
un altro rifiuto dalla vita alla fogna”.
Ancora una foto all’ultimo affronto
direte agli amici “l’ho visto dal ponte”.

Domani verranno bambini sul prato
vedranno sull’erba uno straccio bruciato
“che schifo che tanfo, giocate lontano”
dovete salvarli prendete la mano.
Io anche volevo salvare mio figlio
il mare l’ha preso… proprio all’ultimo miglio.

Io anche volevo salvare mio figlio
mancava soltanto quell’ultimo miglio.