Covid. Svegliarsi prigioniero

Covid. Dopo un anno e mezzo si progettano vacanze. I giovani soprattutto sono affamati di libertà. Ma che cosa è stata e cosa ancora è, proprio per i giovani, la pandemia?
Per entrare nei chiaroscuri di un così complesso condizionamento della vita ho chiesto a un amico il sintetico diario che ha tenuto nei giorni di malattia (mesi fa): sintomi, “carcerazione” in casa, reazioni degli amici, sfida, attese, relazioni soltanto via internet, ritorno alla mezza normalità, riflessioni a posteriori. L’autore, che ringrazio doppiamente, è Giacomo Romagnolo, 19 anni ad agosto, alessandrino, studente di Giurisprudenza alla Cattolica di Milano.

!° giorno. “Ci vediamo domani, poi ci bloccheranno le zone arancio”. Lo dico fiducioso, anche se sto tornando dall’ambulatorio. Ieri sera sono arrivato da Milano con raffreddore e mal di gola. Stamattina ho fatto un tampone. Per scrupolo: raffreddore e mal di gola esistevano anche prima del Covid.

Invece no, domani un bel niente. Sono appena rientrato in casa e già chiamano dallo studio medico: <Positivo>. Elencano le precauzioni che devo prendere, ma sento quasi soltanto: “Isolamento”. Mi chiudo in camera, stendo l’elenco delle persone viste negli ultimi giorni e telefono. Qualcuno mi compatisce e consola, i più si allarmano, uno si arrabbia: “Sei stato in giro tutta l’estate e non hai preso niente. Ti ammali quando vedi me?”. E se fossi tu ad avermelo passato? Non lo dico, sarebbe lo stesso.

Non ho paura. Più del mal di gola patisco il passaggio dal ritmo frenetico milanese che amo al ritmo carcerario, avanti e indietro nella stanza, letto, poltrona, scrivania. L’ora di pranzo: mia madre piazza davanti alla porta cibo in piatti di carta, posate di plastica. Di plastica! A me, che avevo partecipato alla manifestazione per il clima, l’ambiente, la riduzione delle sostanze inquinanti.

2° giorno.  Domenica da infetto. Il telefono è pieno di messaggi. A quest’ora dovrei essere al bar di un’amica per il caffè, forse l’ultimo prima che scatti un’altra chiusura. Invece giù pastiglie per il mal di gola. Un male anomalo, intenso, senza sprazzi di sollievo. La sentenza del tampone non basta, il Covid vuol farsi sentire direttamente: sorseggio un Estathé e non ha sapore. A cena è tutto più evidente: “sugo di cinghiale” ha detto mia madre di là dalla porta, ma non sento gusti. Tutto identico, “comunismo culinario” che sbalordisce.

Rispondo ai messaggi, rido per qualche meme su Instagram. E mi rendo conto che prima con internet giocavo, ma adesso se voglio vivere fra gli altri DEVO farlo in internet. Esco subito dal virtuale, studio Diritto Privato. Mi ero ripromesso di chiudermi in casa prima dell’esame. Doveva essere una mia scelta, non quella di un guardiano dentro di me.

3° giorno. Toc toc. Colazione. La detesto, da sempre, figuriamoci ora che non ha sapore alcuno. L’ultima colazione vera e festosa la feci all’esame di maturità, con la brigata di compagni dell’ultimo anno. Gli amici … Oggi uno di loro compie vent’anni. Quando festeggiò i diciotto volevo regalargli i biglietti per un concerto ma mi diedi da fare quando i posti erano esauriti. Pensavo di rimediare adesso con quelli per lo stadio, ma lo stadio … Auguri via wathsapp. Che tristezza. Era comunicazione veloce, ora è finestra di una cella.

Pomeriggio ascoltando musica, come in treno da Milano a qui. In stanza sarà più da musicofilo, ma in viaggio era ritmo della vita in movimento. Il fatto di star peggio di ieri non  riesce a darmi una ragione di questa gabbia, anche se agli altri sintomi si è aggiunta una spossatezza che allontana gli oggetti. Se dovessi andare alla stazione, dieci minuti da casa, stramazzerei.

E che pesante la sera! E’ vero, nulla può fare anche chi sta bene, ma che considerazione balorda! Ancor più balorda  sarebbe quella del “c’è chi sta peggio”, come fare le boccacce a uno che soffre e ha paura. Siamo tutti ostaggi, chi in un reparto d’ospedale, chi a casa. Guardo un film al computer. Sarebbe consolante lo schermo grande del televisore davanti al divano. E’ una solitudine individuale annegata in quella collettiva.

4° giorno. Sveglia telefonica. E’ l’Asl. Tampone di verifica fra otto giorni. Domande sul tracciamento dei contatti. La signora è meravigliata: non ho contagiato nessuno. Forse l’immediato mal di gola ha spezzato una catena. Sei contento, ma ti rendi conto della facilità, della banalità del contagio.

Giacomo Romagnolo (1. continua)