“La tregua”di Primo Levi e il veleno di oggi

E’ difficile scovare le sorgenti del veleno razzista che percorre come un sistema venoso la società. Talora è l’arte a indicarle in poche battute. Ieri sera La7 ha mandato in onda La tregua, film del 1997 di Francesco Rosi tratto dal libro di Primo Levi (del 1963) che racconta il ritorno dal lager.

Durante il cammino Ferrari (Claudio Bisio) chiede a Levi (John Turturro) del suo passato, delle ragioni che l’hanno condotto ad Auschwitz. Poi racconta di sé: ladro di professione, detenuto, ha accettato l’offerta di esser liberato se disposto ad andare a lavorare in Germania. E lì s’è trovato recluso molto peggio di prima.

Nel commiserare se stesso (“Perché

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Dedicata ai cuori sereni e ai razzisti

Questa tristezza è dedicata a chi in questi tempi d’ira continua a esser persona e, insieme, alla cecità fangosa e delirante dei razzisti.

Arrivano da luoghi lontani. Qualcuno diventa spacciatore, qualcuno assassino. Molti imparano l’italiano, le regole, le leggi, un lavoro, come il giovane venuto dalla Guinea e oggi impegnato a salvare le nostre vite sulle ambulanza della Croce Rossa (La Stampa-Asti).

Ma anche lui rischia, con il Decreto Sicurezza, di essere cacciato via perché ha un permesso di soggiorno “per motivi umanitari”. Mai espressione fu così calzante e bifronte: umanitari verso di lui e umanitari verso di noi da parte sua.

Colpire l’integrazione

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