Garlasco e la stanza di Chiara

Le indagini della difesa sul delitto di Garlasco (condanna a 16 anni confermati dalla Cassazione per l’assassinio di Chiara Poggi) portano nuovi elementi, tra i quali reperti di Dna e testimonianze. E buttano sospetti su un amico del fratello di Chiara: mai entrato nella villetta, dicono lui e la madre della ragazza; entrato eccome, dice la difesa di Stasi, entrato per accedere al computer.

Senza inoltrarsi nel dibattito sulla vicenda, colpisce come essa è narrata. Per gli adulti un appartamento è composto – secondo le possibilità economiche – di ingresso, cucina, bagno, soggiorno, sala, studio, camera da letto (e poi, secondo ricchezza, biblioteca, sala del biliardo, sala cinema). La camera da letto si chiama così perché in linea di massima ci si va a dormire o a far l’amore. La stanza dei figli in genere è più che una stanza: è dove dormono, chiacchierano, ricevono gli amici, talora studiano, scrivono mail, sognano, si nascondono dai familiari. Un piccolo alloggio nell’alloggio.

Per tutti o quasi tutti i genitori, che siano disoccupati, avvocati, giornalisti, quella è dunque la stanza del figlio: <stai zitto e vai in camera tua>, <tiene la sua camera come un porcile>, <è chiuso in camera da stamattina>. Ma per i mass media, trattando di una giovane assassinata, <camera> non basta, è vago, distrae dal voyeurismo. E allora per giorni e giorni, in modo ossessivo, in televisioni e su giornali, il computer non era, come ovvio, nella <camera di Chiara>, ma nella <camera da letto> di Chiara. Detto così, evoca ed eccita di più.