La gente comune, comparse dei tg

Affolla compita i funerali, dietro parenti, amici, colleghi, autorità, giornalisti: è la gente comune. Un classico dei cronisti che fa il paio con gli agenti in tenuta antisommossa (che è come dire: salvato da medici in camice).

Chi è la gente comune? Forse operai, impiegati, disoccupati, casalinghe, commercianti, professionisti, padri e madri di famiglia, figli. Sono citati in coda a quelli che hanno un ruolo – una ragione vera per esser lì? – e il loro appellativo suona come “quelli che non contano”.

Le stesse persone a un corteo pacifico non sono gente comune bensì dimostranti. Davanti alla scena di un crimine sono i curiosi. Quando insultano un politico diventano facinorosi. Se urlano tra telecamere e caserma da dove sta per uscire un assassino sono una folla indignata. Qualora poi tentino di linciare l’arrestato ecco la frangia violenta. Ovunque, tranne che ai funerali, acquistano identità, forse perché in quelle situazioni fanno qualcosa di più rilevante che provar dolore e portare partecipazione.

Se partiamo dall’esser protagonista, le cronache quotidiane fanno pensare che la gente comune sia poca: a parte vip, eroi e angeli, leggiamo di ladri, assassini, pedofili, corrotti e corruttori, comunque ognuno a suo tempo degno di citazione. Ma anche fra chi per ora resta gente comune c’è chi l’indomani ammazzerà la fidanzata che vuole lasciarlo, sterminerà la famiglia, si ucciderà rovinato dalla banca. Provocando nuovi funerali ai quali con parenti, amici, colleghi, autorità e giornalisti parteciperà altra gente comune che diventerà a sua volta eroe, manifestante, disoccupato, assassino.

Fra questi comuni può esserci un tale che sta appartato con le scarpe infangate e il viso addolorato: adesso è “gente comune”, ma il mese prima, quando salvava feriti tra le macerie, era un angelo del fango. Non è giusto degradarlo soltanto perché non grida: io sono quello là… Insieme a questo “declassato” c’è un signore tranquillo e timido, con gli occhiali scuri, tipico esemplare di gente comune, almeno fino a domani quando in sala operatoria salverà cinque vite con interventi innovativi. In fondo alla navata c’è un piccoletto con le mani grandi come vanghe e gli occhi lucidi, il più comune di tutti, fino alla prossima settimana quando da solo, a rischio di farsi travolgere, bloccherà l’autostrada prima che cada il cavalcavia. Chiamalo gente comune. (Che poi, tutti insieme, sono quelli che mettono mano alle rivoluzioni).

E con i necrofori come la mettiamo? Nella vita di tutti i giorni sono gente comune, lo sono se vanno “in borghese” al funerale di un noto artista che col suo lavoro ha accompagnato i loro sentimenti. Ma se sono impettiti in nero ad aspettare di sollevarne la cassa che cosa sono? Né vip né gente comune, e “angeli della morte” non si può perché spetta già a medici e infermieri serial killer, ed “eroi” sarebbe eccessivo”, “traghettatori” antico. Custodi del viaggio, forse?

E’ ridicolo e triste quel “gente comune”, soprattutto usato da chi per mestiere va a caccia di storie speciali.  Un cronista che racconta un funerale fa parte delle categorie (amici, parenti, autorità, giornalisti), ma quando, in ferie, va al saluto ultimo ad un conoscente (non amico, dunque) che cos’è? Gente comune o comunque giornalista seppur non in servizio?

E’ questione di ruoli. Si è gente comune quando nulla ci fa riconoscere, ma si è gente che spicca quando si fa del bene che abbia risalto, si ha un successo così come quando si uccide, violenta, rapina, corrompe, ruba, si fa una bancarotta di quelle che meritano. Gli altri le cronache li raccoglie come con una ramazza e li riduce a comparse della vita e della morte.