Legge beffa, poco da ridere

La balorda legge sulla legittima difesa arriverà al Senato corretta e forse lì morirà, ma svela i giochetti del nostro Parlamento. Quando è stata discussa alla Camera ci ha fatto ridere e indignare, ma è riduttivo attribuirla solo a inettitudine, superficialità, incompetenza della classe politica: per scrivere quella beffa ci voleva lucida volontà. Le critiche del segretario Renzi e la remissività del relatore suonano come la retromarcia del bambino scoperto in piena marachella: va beh, ci ho provato, non v’arrabbiate, adesso faccio diversamente.

Quel testo, sbriciolato dalle ironie sulla notte e sul turbamento della vittima è stato scritto con propositi precisi, primo fra tutti mostrarsi paladini della sicurezza arginando il ruolo dei Rambo della destra. La notte non era una gaffe, bensì la parola più evocativa per gente spaventata dalla violenza tra le mura di casa nel momento di minor attenzione: una precisazione inserita non per far differenze, ma per attrarre il sospiro di sollievo che distrae dal vuoto della legge.

I contestatori del testo l’hanno giudicato insufficiente o viceversa portatore di violenza gratuita. La verità semplice è che nulla cambierebbe se non il sovraccarico di lavoro per la magistratura. Le nuove norme non toccano, per quanto si sia turbati e al buio, il concetto di proporzione tra offesa e minaccia da una parte e reazione dall’altra: è la legittima difesa che già esiste, che diventa eccesso quando non c’è proporzione, omicidio volontario quando pianto una pallottola nella schiena a una persona che sta fuggendo.

L’illusione indotta doveva essere: accertato che era un ladro e che gli ho sparato è finita lì. Invece per stabilire che è finita lì, proprio come ora, ci vogliono indagini che appurino protagonisti e situazione, poi eventualmente un processo. Processo previsto nella nuova legge, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di inserire il pagamento delle spese legali da parte dello Stato in caso di assoluzione. E non può essere diversamente, altrimenti attiro a tarda sera in casa mia una persona che detesto e mentre prendo due birre le sparo, poi dico che era entrata a mia insaputa. Quanto al turbamento fa parte della ricostruzione delle circostanze anche ora: diverso sarebbe scrivere chiaro e tondo – chi se la sente di farlo? – che essendo turbato ho il diritto di uccidere con un colpo alla schiena un’ombra in fuga dopo il furto nell’orto.

Chi ha scritto questa legge l’ha scritta con l’intento di non cambiare nulla. Allora perché scriverla? Per più ragioni. Innanzi tutto c’è la motivazione politica: dare l’illusione che si va incontro al bisogno di sicurezza, esasperato dai rivali politici per raccogliere consensi . E il senso di onnipotenza che l’arma dà a chi la impugna fa scivolare in secondo piano la la carenza grave dello Stato (non per colpa delle forze dell’ordine) nel prevenire e proteggere.

Complice la maggioranza dei mass media (con titoli come: “sarà più facile difendersi”) si incentivava la corsa in armeria, con gran gioia di industria e commercio. E, a pensar male, una volta riempite le case di rivoltelle e fucili, si sarebbero potuti tassare pesantemente porti d’armi e detenzione d’armi.

Una legge senza effetti? Senza effetti sulla impunità dei nuovi pistoleri. Ma con effetti sociali devastanti. Qualche milione di ansiose teste pronte a sparare senza aver nessun concetto di che cosa significhi, mogli ammazzate mentre vanno in bagno al buio, figli crivellati mentre alla prima sbronza perdono le chiavi e provano a entrare dalla finestra. E rimorsi e processi, come oggi, per chi ha freddato ladri o un suo caro. Con lo Stato teso a confidare nell’implacabilità dei giudici per non dover sborsare troppo denaro dopo un’assoluzione (salvo accusare i magistrati per sentenze in realtà previste dal legislatore).

La legittima difesa si può rivedere, senza farla diventare diritto d’ammazzare. Avere la pistola sotto il cuscino non significa di per sé essere in salvo: l’aveva anche Angelo Epaminonda (più scafato di tanti onesti padri di famiglia) quando la Squadra Mobile torinese guidata da Piero Sassi irruppe nella sua stanza. Non fece nemmeno in tempo a spostare la mano, giù chiusa nei bracciali.

Questa legge non è nata da giocherelloni al bar. Sembra nata, come altre, per portare in Parlamento e nel Paese fumo ingannevole, con giochini evocativi come la notte e il turbamento. Come lo specchietto per allodole che consiste nell’alzare i massimi della pena, lasciando inalterati i minimi, cosicché tra rito abbreviato, sconti, affidamento si evita il sovraffollamento di carceri, inadeguate perché non ci sono soldi da investite in personale: per inasprire le pene si alzano prima di tutto i minimi.

Riflettere su questa vicenda, guardare che accadrà in Senato serve a capire la costante deriva di gran parte della politica italiana anche oltre la corruzione. E se questa storia ci ha fatto per fortuna anche ridere, le risate si afflosciano e quel che resta è disprezzo, il sentimento più rovinoso per la categoria che legifera e amministra.