Impeachment, l’inganno e l’arroganza

Una cosa più di tutte gli italiani non tollerano: le regole. E così che la parola impeachment dilaga e suona come “la mia volontà vale più della tua, quindi levati di torno”.

Molti di noi inventano regole buone soltanto per loro e vogliono abbattere quelle comuni quando ci finiscono in mezzo. Questi giorni di scontro istituzionale, dopo il mancato governo Lega-5stelle, è un coro di disprezzo del rispetto per ruoli, passaggi, competenze stabiliti nella Costituzione che il Movimento voleva salvare dalle pessime modifiche di Matteo Renzi.

L’andazzo è stato chiaro fin da quando Luigi Di Maio (oggi vittima del socio Salvini, non di Mattarella), senza aver ricevuto incarico, inviava al Quirinale progetti e nomi provvisori. I quasi tre mesi di falliti tentativi sono proseguiti sulla stessa linea, grazie alla pazienza del Colle, basti pensare alla ridicola attesa provocata dal sottoporre il “contratto di governo” a pattuglie di fedeli.

Il Presidente della Repubblica – piaccia o no il suo rifiuto – nulla ha fatto che esulasse dalle sue prerogative, stabilite dalla Carta fondamentale dello Stato, nulla ha fatto di ideologico, soprattutto nulla ha commesso contro il voto manifestato nelle urne, che ha rispettato conferendo l’incarico a un premier proposto dai due partiti con più elettori e suggerendo, al posto di Paolo Savona, addirittura  il braccio destro del leader leghista.

Eppure già si annuncia – riempiendosi la bocca di un evocativo termine importato – la promozione dell‘impeachment,  fuori luogo e impraticabile: la procedura servirebbe a sprecare tempo del Parlamento e della Corte Costituzionale. Avrebbe però un effetto multiplo, che è quello che si va cercando: riempire la campagna elettorale (mai interrotta) di chi lo propone (Di Maio), di chi vuol tornare nei giochi (Meloni), sviare su un colpevole diverso l’attenzione dallo sgambetto di un contraente (Salvini) all’altro (Di Maio), così da non sforacchiare la strada di una alleanza bis. Un’ulteriore ubriacatura dei cittadini ormai drogati da slogan, proclami, promesse, nemici, vendette.

Carlo Cottarelli, che le regole le conosce, ha prospettato, in caso di molto probabile sfiducia da parte delle Camere, un governo che prepari elezioni dopo agosto. Salvini ha già dichiarato, con regole sue, che non va bene nemmeno questo: elezioni subito, prima che la gente abbia tempo di riflettere.

Politici in testa, buona parte degli italiani pretende regole durissime contro tutti, nulla che riguardi loro e i loro affari. Lo vediamo ogni giorno: i parlamentari scrivono leggi incomplete o ingannevoli e quando i magistrati le applicano reagiscono con orrore; artigiani inneggiano a chi distruggerà l’evasione fiscale degli altri e mentre parlano intascano contanti senza ricevuta perché il loro caso “è diverso, è una difesa dal fisco rapace”; impiegati scrivono su Facebook contro corruzione e malcostume e lo scrivono dal tavolino del bar dove passano il tempo che, secondo la timbratura del cartellino, dovrebbe essere messo a frutto in ufficio; privati costruiscono terrazze e mansarde abusive “tanto verrà il condono” e strillano contri chi davanti a quelle terrazze tira su un muro altrettanto abusivo; giornalisti sottoscrivono la Carta di Treviso e spappolano la dignità di minorenni.

Si odiano le regole, si reclamano per gli altri, per sfogarsi si cercano colpevoli e nemici come i cani cercano – in conto terzi – i tartufi. Per tutto questo avrà presa sugli elettori l’inesistente impeachment: individua il nemico più odioso perché nelle regole è rimasto. Le mandrie assecondano gli imbonitori perché in Italia la Politica ha del tutto invertito il suo ruolo: anziché ricevere e rispettare l’onore di rappresentare, rincorre sbandando attese, sogni, utopie, ire, frustrazioni e le amplifica per avere consenso. Poi, ottenuto il voto, considera la maggioranza non quale conferma dei buoni programmi annunciati con chiarezza e impegno a rispettarli ma come vittoria in uno stadio, non come immensa responsabilità di guida ma come ricerca d’altro consenso e onnipotenza dispensata da ogni dovere, ogni equilibrio, ogni realismo.

E’ per questa malsana strada che il principio della maggioranza esce dalla democrazia e si trasferisce subdola nell’arroganza, nel bullismo e da qui punta alla dittatura, non percepita, anzi osannata dai tanti che sul nascere la credono il bulldozer delle proprie regole e doveri e il muro contro i diritti d’altri, salvo poi sprofondare dolorosamente nelle sabbie mobili.