Disprezzo vestito di slogan e citazioni

Inesorabile disprezzo  per i cittadini sgorga  da slogan, frasi frettolose e autoreferenziali, citazioni mal copiate e travisate senza conoscerne contenuto e origine. Ecco pochi esempi, senza badare al colore politico degli oratori.

Il neopresidente Giuseppe Conte, per darsi un tono e vestire di nobiltà letteraria la rivendicazione del populismo, se ne vien fuori con un minestrone di Dostoevskij e Puskin che stordisce chi ha rispetto per la carta e – come diceva Mario Rigoni Stern – per gli alberi dal cui sacrificio nasce un libro. Nell’appropriarsi di un discorso di Macron, Conte scambia per un’opera di Dostoevskij un suo discorso di commemorazione, per di più non  conoscendone il senso (opposto alle idee del suo compagno di banco Salvini). Ma l’importante è vestire il “populismo” di panni intellettuali, tanto che vuoi che sappiano quegli ignoranti che hanno votato?

Dal canto suo il compagno di banco Matteo Salvini – salvo poi drizzare la barra dopo le ire che ha scatenato – accusa la Tunisia, “paese libero e democratico”, non in guerra e non affamato, di “mandarci non gentiluomini ma spesso e volentieri galeotti”. Se obiettivo era provocare il governo tunisino ci è riuscito, se era mostrarci che lui è un duro, con la retromarcia ha fallito:  ragionando un minuto, usando il pensiero invece di affidarsi agli slogan, avrebbe potuto evitare il “mandano” e dire: “Dalla Tunisia, paese libero e democratico, non scappano i gentiluomini ma i banditi”. Ci offriva lo stesso dei nemici, senza offendere, anzi elogiando, un governo.

Il 5 stelle Nicola Morra, anziché difendere un governo e un’intesa tra i due partiti più votati – il  che sarebbe logico – tuona in Senato: “E’ un contratto, nessuno s’azzardi a usare altre parole”. Usiamole invece, perché come Conte sa, un contratto (articolo 1372 Codice Civile) non “produce effetto rispetto ai terzi”. Dunque, noi che siamo gente di larghe vedute e pensiero elastico, capiamo che cosa intendevano per contratto Lega e Movimento, cioè un patto per evitare la parolaccia “alleanza”. Morra no, lui ci vede – e lo ribadisce – solo il contratto. L’unico italiano a gridare che mai governo si è fondato sulla spaccatura netta del Paese con effetti su terzi.

Concetto questo ripreso da Salvini quando annuncia centri per il rimpatrio “chiusi”, onde evitare stranieri a passeggio dalle 8 del mattino alle 10 di sera. Questo perché i cittadini italiani sono stanchi di incontrare vagabondi? No, perché “lo chiedono gli amministratori leghisti”.

Dopo l’infelice “adesso lo Stato siamo noi” pronunciato da Di Maio con un sorriso da primo appuntamento erotico, si lancia in sua difesa la compagna di partito Carla Ruocco, e invoca quale ispirazione non Luigi XIV ma Pietro Calamandrei. Su La Stampa Mattia Feltri le fa notare l’incredibile cantonata, presa affidandosi al titolo di una raccolta di scritti, dove per “noi” si intende l’opposto di quel che dice il capo della suddetta Ruocco.

Matteo Renzi ha il diritto di contestare  il governo e negargli la fiducia, ha pure diritto a coltivare il suo rancore (anche i bambini, quando sbagliano, non hanno mai colpa). Ma se avesse riflettuto due, tre, al massimo cinque minuti, prima di entrare in aula, avrebbe parlato di un programma che gli fa schifo e soprattutto del timore che il “contratto” caro a Morra  crei oggi un partito unico. Invece grida al Senato e agli italiani il terrore di sparire lui da quei banchi al prossimo giro: “Non siete il bipolarmismo di domani”. Mentre nasce un governo, lui annuncia la probabilità che il “suo” pd , non il pd senza di lui, non avrà elettori.

Si potrebbe impietosamente proseguire, ma può bastare. Se da un lato ci offendono ignoranza e approssimazione, il ritenere superfluo documentarsi e sapere quel che si va dicendo, dall’altro ci fa imbestialire il disprezzo: tanto quei deficienti  bevono tutto. Disprezzo che restituiamo ai clown della politica (fatte salve eccezioni che spiccano come lampi nella notte), che, sparsi in ogni schieramento, non ci fanno ridere, perché pericolosi come quello di Stephen King in It

A loro aveva già dedicato un pensiero, nel 1600, lo scrittore spagnolo Francisco De Quevedo: “Che importa che tu sappia due frasette e due luoghi comuni quando non hai prudenza sufficiente per usarli a proposito?”.