Il “ritorno” dell’emigrante anarchico

Le parole emigrante e anarchico in tutti evocano  Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, mandati innocenti alla sedia elettrica negli Stati Uniti del 1927. Altri emigranti e altri anarchici, con sorti diverse, dormono negli archivi di un’Italia che ignora o cancella la sua storia.

C’è chi per fortuna non considera gli archivi polverose tombe bensì sorgenti da scoprire . All’Israt (Istituto per la Storia della Resistenza di Asti) hanno scavato due giovani studiosi, Stefano Brezzo e Werther Spessa. Indagando su antifascisti e sovversivi astigiani si sono imbattuti nella foto di un uomo un po’ calvo, alle prese con un microscopio, con un sorriso ermetico. Hanno cercato il prima e il dopo di quell’immagine, che si è rivelata simbolo di un percorso umano, professionale, politico tra la campagna piemontese,  gli ospedali dell’Uruguay, la guerra di Spagna.  Hanno così fatto “ritornare” Virgilio Bottero, medico ematologo anarchico, in Il medico di Luce (Edizioni CDL Felix), titolo geniale che evoca – insieme con il rapporto intellettuale di Bottero con la scrittrice anarchica Luce Fabbri e il padre Luigi – la limpidezza del suo pensiero sociale e politico e la sua dedizione al malato nel corpo nell’anima.

Virgilio Bottero nasce a Refrancore d’Asti nel 1902, parte per l’Uruguay con i genitori e la sorella Emilia nel 1912. Nel panorama delle ondate di emigrazione italiana verso le Americhe, un dettaglio sorprende: dalle colline molti contadini fuggono il disastro economico provocato dalla filossera che devasta le viti. Ma il padre di Virgilio, Domenico, non è contadino, è brigadiere dei Reali Carabinieri, forse indotto ad andarsene dagli ultimi fuochi della guerra italo-turca e dall’imminente Campagna di Libia.

Tra anagrafe, documenti d’archivio, scritti di Bottero e la pronta collaborazione da parte del sito web La Columna Uruguaya, i due ricercatori ricostruiscono una storia breve di anni, intensa di attività medica, intellettuale, politica, inserita nella situazione dell’epoca in Italia e soprattutto in Uruguay (per un certo periodo il più ospitale dei Paesi oltreoceano) e Spagna.

Ecco Virgilio studente alle superiori, poi alla Facoltà di Medicina di Montevideo, il suo interesse per la scienza, i malati come persona e l’individuo come base della società. Ecco le sue frequentazioni e le difficoltà: il sindacato, l’ospedale, la famiglia Fabbri e altri intellettuali, l’allontanamento dall’Hospital Fermin Ferreira, l’espulsione dall’Uruguay e la fuga in Argentina, il ritorno e le collaborazioni con riviste.  Spirito libertario, nel 1937 Bottero parte con due amici per la Spagna, dove da un anno è divampata la guerra civile e dove presta aiuto come medico, già colpito dalla tubercolosi che  lo stroncherà nel 1944, ad appena 42 anni..

La seconda parte della ricerca è costituita dai suoi scritti (articoli su riviste e lettere), dove l’ideale anarchico si fonda sul diritto imprescindibile alla libertà ma anche sulla morale del singolo. Ammette Bottero: “E’ un compito difficile far capire agli altri ciò che è intimamente caratteristico delle nostre idee”. Cerca di farlo recensendo una commedia – Compagni, di Rodolfo Gonzales Pacheco – che svela le basi di un progetto. Lo fa poi in un articolo estendendo il concetto di sperimentazione tipico della scienza e della medicina al pensiero, alle idee, arrivando al superamento dello schema di maggioranza e minoranza: “Stabilita una nuova vita sociale su basi libertarie, l’idea del predominio delle maggioranze non ha più senso di esistere e deve scomparire, essendo nociva e nefasta (…) perché sviluppa e presuppone per il suo sostentamento il principio di imposizione, e di conseguenza quello di autorità”. Il suo idealismo vede un continuo “libero accordo e libera coordinazione” fra le due componenti, in funzione di un mondo dove si possano “far concordare il lavoro, l’utilità collettiva, il benessere sociale, con la libertà e la dignità”.

Spiegazioni e supporti alle sue teorie sono lineari, chiari, ma indissolubilmente legati a un’ostinata fiducia nell’uomo, che l’altruista anarchico sembra guardare in uno specchio che riflette il suo rigore morale, la sua visione di una società dove i singoli puntano al reciproco supporto e non al trionfo sull’altro.