Legittima difesa: la carica dei Mr. Bean

Gli slogan che accompagnano la legge sulla legittima difesa cantano: “Liberi di difenderci” e “Più sicuri nelle nostre case”. A parte che più sicuri si sentiranno tanti Mr. Bean con la pistola in mano, un po’ meno i familiari, forse in epigrafe al testo si poteva citare quel che Jack Cade afferma nell’Enrico VI di Shakespeare: “Il nostro ordine è il nostro disordine”.

Sarebbe consigliabile ai futuri bounty killer domestici una lettura della legge prima d’accoppare con lo stesso entusiasmo gang da Arancia meccanica e ladruncoli di pomodori. Norme scritte da un Parlamento non danno la stessa preparazione psicologica e tecnica che viene da un istruttore al poligono, non distolgono (anzi invogliano) i malintenzionati dal presentarsi con miglior “equipaggiamento” e soprattutto non contengono un articolo il quale stabilisca che, una volta infilate due o tre palle calibro 9X21 nella schiena di un mariuolo in fuga, si possa aprire lo champagne con gli amici e fare un cenno d’intesa ai carabinieri del pronto intervento: si va dal giudice e poi in galera come prima.

Ancora più che nella nuove legge i rischi per le vittime di furti e rapine sono nella propaganda elettorale, che in Italia sostituisce la lettura della norma. Ci sono nel testo per fortuna otto parole identiche a prima: “sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Si può limitare il concetto di “eccesso”, non si elimina quello di omicidio. Se un ragazzetto mi ruba per la sesta volta in sei giorni un tronchetto nella legnaia in fondo al giardino e gli rovescio un caricatore tra le scapole, per quanto turbato io sia, qualche noia l’avrò.

Purtroppo esistono molti “duri” che se vedono una donna malmenata in strada scantonano, si rifugiano in un bar e qui proclamano: “Se entrano in casa mia, io…”. Da questa legge (del tutto inutile per modificare l’andamento del crimine, ma in sostanza anche la sorte giudiziaria dei facili giustizieri), questi duri ricavano un film che non esiste: il ladro armeggia alla finestra, accendo la luce, scappa, gli sparo, cade morto, chiamo gli amici e annuncio “ne ho preso uno”, apriamo la bottiglia, arrivano carabinieri e polizia, guardano il cadavere, stringono la mano a me e ai festaioli, firmano un prestampato con scritto “legittima difesa, caso archiviato”, accettano una bevuta e tutti insieme cantiamo “uno su mille non ce la fa / perché è venuto proprio qua”.

Secondo la legge, anche quella nuova, i carabinieri e la polizia non brindano, esaminano il cadavere, guardano dove è stato colpito, sequestrano l’arma, cominciano a far domande. Poi il pm firma un documento che si chiama “avviso di garanzia”. Ed è inutile che io chiami i programmi tv che guardo sempre (dicevano anche loro tutte le sere che “non se ne può più”) per sbraitare che ho seguito la nuova legge. Il giudice la nuova legge me la piazza sul tavolo e, se non sono tutto fuso, comincio a capire che a prendermi per i fondelli non sono stati né il ladro né i carabinieri né il pm.

Il vero dramma in questo pasticcio è che né il cittadino né il politico capiscono una cosa elementare che sa chi usa le armi per professione. La pistola è un pericoloso oggetto comandato da un cervello lucido. Invece nella paura e nella propaganda, nell’agitazione e nella caccia al voto, nell’ira e nel senso d’onnipotenza è il prolungamento di una mano, la quale a sua volta è la propaggine di un organismo che vibra di furore irrazionale. Al ladro! al ladro! Pùm pùm pùm. Oh cazzo, era mio figlio che cercava di rientrare dalla discoteca senza farci sapere l’ora. Come cronista mi è capitato di vedere un cadavere a terra e un uomo piangere. Accade, per far giustizia, di fare un’ingiustizia a una persona cara.

O può accadere di considerare una legge come un guscio protettivo. Non vado d’accordo con il vicino, lascio il cancello socchiuso, gli telefono per invitarlo a casa mia a far pace, poi quando arriva alla maniglia della porta gli sparo, torno a chiudere a chiave il cancello e chiamo la polizia. Che stupore quando mi accorgo che indagano sui nostri rapporti, che dai tabulati scoprono che era appena partita una chiamata dal mio numero al suo: “Non potete, la legge della legittima difesa dice…”. Già, forse dovevo leggerla prima.

Manca una cosa in tutto questo legiferare: la prevenzione. Si alzano delle pene, ma non si colpisce con durezza la detenzione di arnesi atti allo scasso, soprattutto se portati a passeggio. Si spinge la gente ad armarsi, ma non si forniscono uomini e mezzi per il controllo del territorio, che è la vera protezione dei cittadini. Anni fa, in una notte di pattugliamenti nell’Astigiano, l’allora capitano dei carabinieri di Villanova d’Asti (oggi spero colonnello o generale) mi disse una cosa semplice, ineccepibile: “Possiamo tenere il conto dei furti, delle rapine, degli aggrediti, dei fermi, degli arresti, ma non possiamo contare i reati che queste gazzelle sventano ogni volta. D’altra parte non si pattuglia per far statistiche e comunicati, si pattuglia per garantire la tranquillità dei cittadini”. Lui sì, quel capitano lo vorrei come ministro dell’Interno.