Fausto Coppi, la gloria allo specchio

Fausto Coppi non fu soltanto il campione, il simbolo dello sport e della rivalità pulita. Con una vita intensa, gloriosa e tormentata, fu emblema di tenacia: quella del giovane dilettante che diviene orgoglio nazionale, che talora scivola e si rialza, che all’inevitabile esposizione pubblica oppone la riservatezza sul privato, almeno fino a che non irrompe la cronaca.
Il ritratto dell’uomo, del suo intimo, il torcersi delle emozioni e dei rapporti con compagni e avversari, raccontano una percorso più tortuoso di quello del Giro d’Italia, più sofferto di un testa a testa sotto il traguardo.  Ci offre questo viaggio Gabriele Moroni, grande firma del Giorno,  che ha “disteso” nel volume Non ho tradito nessuno (Neri Pozza editore) tutto ciò che il campione ha scritto in quotidiani, periodici, prefazioni di libri. Disteso” nel senso che fa fluire un racconto di concretezza e sentimenti, dalla realtà contadina degli Anni ’20 del Novecento al riscatto sociale delle piste del mondo. dai 40 chilometri al giorno (tra andata e ritorno) in bicicletta a tredici anni per andare a lavorare da Castellania a Novi Ligure fino alle fatiche del 1956 (quel che venne dopo, fino alla morte, il 2 gennaio 1960, lo sintetizza Moroni stesso).
Dunque, non la lettura critica esterna di vittorie e delusioni, bensì l’opportunità di sedersi in poltrona accanto a Fausto Coppi e ascoltare dalla sua voce il cammino sportivo e intimo tappa dopo tappa, sfida dopo sfida, mentre commenta attimi, scelte, questioni tecniche, comportamenti propri e altrui.
Nell’incalzare della pedalata, nel ripiegarsi di una caduta, nella tristezza di un ritiro, l’autobiografia dell’atleta diviene anche autobiografia del carattere, della personalità di Fausto bambino, ragazzo, uomo, trionfatore. Gabriele Moroni ci aiuta collegando le narrazioni, integrando, precisando, ma nulla ci impone. E allora, nella rivalità Bartali-Coppi si avverte sì la costruzione ad opera dei media (come tutti e due loro ripetevano), ma anche si può, magari troppo interpretando le parole di Coppi stesso,  leggere una stima, un’amicizia che l’esuberanza giovanile pungeva con lo spillo del Maestro che si fa ingombrante, del Maestro da superare o forse sostituire.
E’ rassicurante ascoltare non una macchina da vittoria ma un uomo che tende, come tutti noi, a mal accettare una sorte avversa e, come tutti noi, ad essere un po’ più indulgente verso di sé che verso gli avversari: “Posso senz’altro ammettere di aver anche sbagliato a fare quello che ho fatto, voglio però che sappiate perché l’ho fatto”.
Non un presuntuoso, non il sentirsi un intoccabile: era la fierezza di quel ragazzino che non andava in bicicletta per raggiungere il lavoro, ma andava al lavoro per poter pedalare. Il senso di crescita, di rivalità, di vittoria, talora di profonda amarezza era lo stesso che gli consentiva di cadere e rialzarsi anche nella vita privata, di fronte alla morte assurda del fratello come allo scandalo della Dama bianca.
Grande merito di Gabriele Moroni è cucire con onestà e rigore l’autobiografia di un uomo che ha conquistato la gloria e con essa la condanna a non poterla abbandonare.