Willy, l’umiltà del piccolo coyote

Willy non era un coyote e neanche somigliava allo sciamannato personaggio dei cartoni . Ma sedici anni fa mia figlia lo portò a casa piccolino e lo chiamò così.

Di tutti i nostri familiari a quattro zampe tendiamo a ricordare qualcosa di speciale: un gesto d’eroismo vero o presunto, un’intuizione, una sintonia, un episodio da gran protagonista. Di speciale Willy aveva gli aspetti più rari: una pacata normalità, una serafica umiltà, un’accettazione che non perdeva mai la dignità. Piove? Ci bagneremo un po’. Un caldo torrido? Andrà bene una mattonella in cotto del pavimento.

Willy – un incrocio tra un bassotto e qualcuno più corpulento – liquidava alla svelta la sua ciotola e se un altro dei cani era veloce a fregargli un po’ di cibo non protestava. Si metteva in movimento con calma, quasi trasparente benché cicciottello e faceva il giro delle ciotole altrui. Nelle ultime sere continuava il suo tour, ma poi si fermava e ributtava fuori tutto quanto, tornando a cercare altro cibo e ributtandolo fuori. Così anche ieri sera, prima di addormentarsi. Ma questa mattina non si è svegliato più.

Con Willy non se n’è andato tanto un “personaggio” quanto una creatura meno diffusa eppure molto preziosa: un biografo. Lui viveva con gli altri e li studiava. Ha convissuto con parecchi cani, stando un po’ appartato, più vicino alle persone che ai suoi simili, e osservandoli come se raccogliesse appunti, materiale, memoria. E’ stato accolto dal principe di casa, il mitico Joyce, ha ricevuto qualche coccola da Yuby, mezza alsaziano e mezza husky, ha fatto un po’ di comunella con Lana, mezza yorkshire e mezza barboncina, ha sopportato la prepotenza di Kira, mezza pittbull e mezza cane da caccia, ha accolto Alec, mezzo pointer e mezzo cane da tartufi, e dopo di lui Draco, il corso, e ancora Mel, mezza lupo cecoslovacco e mezza lupo americano. Qualcuno l’ha visto svanire – chissà che idea si era fatto della morte? – e di qualcun altro ha sopportato di buon grado le esuberanze festaiole giovanili. Sempre imperturbabile, con una sorta di filosofia canina basata sull’esperienza: e che sarà mai? perché rincorrere un gatto? perché precipitarsi a far tanto chiasso al cancello?

La sua specialità era l’ora dell’aperitivo delle persone in giardino. Se Kira e il giovane Draco si lanciavano in furibonde similitudini di lotta, provava a infilarsi: o era cacciato con un ringhio, lui più piccolo e tozzo e ora anche un po’ sordo, o del tutto snobbato. Allora veniva a piazzarsi sotto il tavolino e quando gli altri, stanchi, arrivavano a disporsi in cerchio, li guardava come togliendosi una soddisfazione: di qua noi umani, di là voi animali. Quella sfida la pittbull la sentiva e ogni tanto sferrava un attacco per nulla giocoso. Ma accanto al bianco frizzante c’era la caraffa dell’acqua fredda che, versata sul muso, le spegneva gli ardori e le rinfrescava le idee. Willy le leccava il naso bagnato ed era pace.

Si dice talora dei cani: “Non chiedono altro che due coccole”. Non abbiamo mai visto Willy andare in cerca di coccole. Lui era il cane-ombra: mia moglie andava in un’altra stanza e lui, lento, con un po’ d’artrosi e il passo piatto, dietro. Lei chiudeva una porta e lui si accoccolava lì. Quando lei tornava, le tornava insieme. Negli ultimi tempi erano diventate ardue le scale. Allora la sera, con una mano sotto il sedere, gli rendevo più lieve il peso da sollevare con zampe che non riuscivano a dare slancio. Per la mattina avevamo inventato un gioco divertente per tutti e due: seduto sui gradini, me lo caricavo in braccio e scendevo uno scalino alla volta col sedere, faceva versetti compiaciuti come se lo avessi portato sulle giostre.

Ecco che cosa ha insegnato la sua “speciale” normalità: non c’è nulla di obbligatorio, nulla di sensazionale è necessario, si condivide qualcosa con naturalezza, secondo le condizioni e i bisogni Negli ultimi tempi, quando mia moglie usciva Willy si rattristava, allora – vista la fatica delle scale – prendevo dallo studio libri, carte, penne e mi trasferivo in cucina a lavorare, così da essergli compagnia e, all’occorrenza, portinaio. Dormiva beato, ogni tanto si svegliava, veniva a controllare dov’ero, si prendeva qualche carezza e tornava a sdraiarsi. Ed era come dicesse: vedi amico mio? non ci vuol niente ad esser sereni, è tanto normale non chiedere mai mai mai niente.