Il dolore degli altri tra spettacolo e paura

Il dolore degli altri, quando non è  fastidioso ingombro o lampo di paura, è uno spettacolo, il piatto forte di trasmissioni tv e social.

Pochi giorni fa affondavo i passi nei pensieri miei lungo le vetrate dell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo. Appena svoltato verso l’ingresso mi sono imbattuto in un capannello di persone, ma non è stato quello a bloccarmi, è stato un singhiozzare forte, continuo, disperato, il pianto di una donna aggrappata con le braccia al collo di un’altra figura che l’accarezzava. Non sapevo quale sofferenza stesse gridando: una diagnosi senza vie di fuga, per sé o per una persona cara, oppure una morte appena

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“Belìn, tutto per me?”. E il sorriso di Fabrizio

Il sorriso di Fabrizio, quando era contento o commosso da qualcosa o qualcuno, era delicato, un po’  labbra e molto occhi, racchiudeva affetto e timidezza, trasmetteva gioia per ciò che era fatto bene e di cuore.  E’ facile anche oggi immaginare quel sorriso che significa: “Belìn, quanta roba! Tutta per me?” mentre guarda i primi due volumi di una serie che si chiama I libri di Fabrizio De André, curati dalla Fondazione e da Dori Ghezzi per La Nave di Teseo.

I due titoli iniziali sono Accordi eretici (prima edizione 1997) a cura di Bruno Bigoni e Romano Giuffrida, e Volammo davvero (prima edizione 2007) con introduzione di Sandro Veronesi

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